sabato 7 settembre 2019

Impressioni dalla 76a Mostra del Cinema di Venezia






La kermesse si apre anche quest'anno con un incidente diplomatico: il presidente della giuria , la regista latino-americana Lucrecia Martel, in nome della sua militanza femminista rifiuterà di applaudire ad un'eventuale vittoria del regista Roman Polanski , reo di portare sulle spalle ancora oggi i resti di una violenza su minore di cui lo accusarono nel 1977 e che ancora oggi gli impedisce di metter piede in suolo americano per il rischio di estradizione. Si riapre così la discussione riguardante se sia giusto o meno considerare distinte la condotta morale di un regista e la sua opera creativa. A difesa del regista si è schierato il direttore Alberto Barbera, che sottolinea di aver scelto le opere in base al loro valore artistico , e nel caso specifico , con l'idea che si tratti di un bellissimo film a firma di uno dei  grandi maestri del cinema europeo , e smorzando così sul nascere ogni polemica.
Fatalità, tra i pochi film che ho avuto l'occasione di vedere quest anno , proprio il film J'accuse (L'ufficiale e la spia) è quello che ho amato di più, oltre ad essere  uno dei più quotati , promosso dalla quasi totalità dei critici presenti al Festival, e dal pubblico,  assieme al Joker di Todd Phillips      interpretato da Joaquin Phoenix, entrambi impostisi prepotentemente in  quest'edizione festivaliera.
Louis Garrel e Jean Dujardin
Il film di Polanski racconta i reali avvenimenti accaduti tra gli anni  1894 e 1906 in Francia, e descritti  nel romanzo di Robert Harris L'ufficiale e la spia, e diventati celebri col nome del cosiddetto "Affare Dreyfus" , in difesa del quale scese in campo lo scrittore Emile Zola col suo pamphlet del quale il film riprende il titolo. Il regista compie un'ennesima grande impresa, sin dal campo lungo in apertura del film ci  accompagna  dentro la storia, trasmettendo da subito un'inquietudine profonda e un'altissima tensione nell'aspettare le sorti dei protagonisti della vicenda. La Guardia Nazionale francese attraversa lo schermo in lontananza, la vediamo dirigersi laddove un uomo è in procinto di conoscere il suo destino. Da lì in poi, il racconto inizia a focalizzarsi sull'agente del controspionaggio interpretato da Jean Dujardin, che piano piano si accorgerà dell'ingiustizia subita dall'uomo e dell'intreccio ingarbugliatissimo che sta dietro all'ambiente militare e politico che credeva di conoscere. Il tutto rappresentato con una precisione millimetrica nel descrivere ogni più piccolo dettaglio, e qui il sonoro la fa da padrone: ogni scricchiolio dei pavimenti degli ambienti, l'incedere dei passi di ogni personaggio dentro il suo quadro d'azione, il respiro affannoso di alcuni, chi per cause naturali di malattia a uno stadio terminale, chi per un blocco emotivo, altri ancora devono far i conti con tic nervosi difficilmente controllabili o con una pinguedine che impedisce loro movimenti naturali o scorrevolezza di linguaggio. Un museo degli orrori che circonda il protagonista in un vortice dal quale sembra non poter uscire, e che lo imprigiona tanto quanto l'ipocrisia dell'ambiente in cui vive e dove il confine tra male e bene non è più definibile.
Una splendida fotografia definisce immagini cupe , nei toni del grigio e sempre "sporcata" anche in presenza di  giornate di sole, a rendere ancor più opprimente la storia. Gli avvenimenti si susseguono al ritmo dell'inchiesta, con alcune vette di grande emozione  , come la riunione in cui lo scrittore Zola si offre di dare appoggio nel denunciare la faccenda alla stampa, o l'ultimo incontro tra Dreyfus e il suo benefattore.
All'opposto, il film Cecoslovacco  The Painted Bird  di Vaclav Marhoul, ha avuto la colpa di non creare alcuna empatia tra lo spettatore e il piccolo protagonista del film , sebbene la storia avesse tutti i presupposti per coinvolgere: un bambino che cercando di fuggire dalla Guerra e i suoi mostri, si imbatte in ogni genere di brutalità e in continui incontri nefasti, ogni capitolo scandito da un personaggio diverso che incrocia il suo cammino, con immagini in bianco e nero di paesaggi  la cui oggettiva bellezza non può bastare a ingannare il pubblico, costretto ad assistere a scene di immane violenza su corpi di uomini o animali, che alla fine assumono il sapore di atti gratuiti, che in mani più attente e sensibili non avrebbero avuto necessità di essere mostrate. Alla fine nello sguardo del bambino, solo un'arrabbiatura contro il padre che lo ritrova alla fine dell'odissea, la stessa arrabbiatura che sarebbe nata da un divieto a rincasare dopo mezzanotte..e niente più ! Il film è reso ancor più greve dallo spreco di un cast internazionale (Julian Sands, Barry Pepper, Stellan Skarsgaard, Udo Kier, Harvey Keitel) costretto ad imparare stringati dialoghi in una lingua del tutto sconosciuta, e che sembra trovarsi lì per sbaglio. A peggiorare le cose, la scarsa espressività del piccolo protagonista .
Una scena di The Painted Bird, tratto dal romanzo di Jerzy Kozinski
 Al contrario,  la giovane Eliza Scanlen nel film  Babyteeth dell'australiana Shannon Murphy,  rende magistralmente il suo personaggio, circondata da un cast che interagisce alla perfezione (Ben Mendlesohn, la  Essie Davis resa famosa dal ruolo in  Babadook, e il giovane Toby Wallace nel ruolo del ragazzo tossico/spacciatore del quale la ragazzina si innamora creando il putiferio nella sua già disadattata famiglia) grazie a una sceneggiatura meravigliosa, che riesce a toccare un argomento attuale e altamente drammatico come la malattia terminale di un'adolescente , con una leggerezza e un'originalità ammirevoli, ma lasciando il giusto spazio alla profonda commozione che nasce spontanea, quando si trasmette così tanto amore per i personaggi , seppur umanamente pieni di difetti. A maggior merito , trattandosi dell'opera prima di una regista fino ad oggi dedicatasi esclusivamente al teatro , e che qui traspone l'adattamento dell'opera teatrale della sceneggiatrice stessa del film,  Rita Kalnejais .
Eliza Scanlen in una scena di Babyteeth
Parlando di trasposizione cinematografica di opere teatrali, la commedia di Eduardo DeFilippo Il sindaco del rione Sanità , grazie a Mario Martone viene portata in un festival Internazionale di cinema,  dimostrandone la grande attualità, e si fanno recitare al magnifico interprete principale Francesco Di Leva perle di saggezza che molti riconosceranno e che magari erano relegate ai meandri della memoria. Il film lascia senza parole di fronte allo stile asciutto e spontaneo di questo attore, che come il resto del cast arriva direttamente dal Nest, avamposto teatrale di San Giovanni a Teduccio dove il regista allestì l'omonima commedia due anni fa.
Francesco Di Leva e Salvatore Presutto
Luca Marinelli nella locandina di Martin Eden



La sfida sarà difficile tra tanti interpreti di indubbio valore, cui si aggiungono Luca Marinelli che dà volto al Martin Eden di Pietro Marcello, spostato in Italia dalla San Francisco del romanzo omonimo di Jack London, e l'accoppiata Scarlett Johansson-Adam Driver del film A Marriage Story del regista indipendente Newyorchese Noah Baumbach.






Con amore,
Honeybunny


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