venerdì 23 maggio 2014

Nymphomaniac - Vol 1, 2 - Recensione





Nymfomanen
Regia: Lars Von Trier
Cast: Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgaard, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Jamie Bell, Connie Nielsen, Christian Slater, Willem Dafoe
Durata: 300'
Genere: Drammatico
Premi: Bodil Award 2014 (Miglior attrice , Charlotte Gainsbourg)
V.M. 14



Ogni nuova creazione di Lars Von Trier è destinata a suscitare una ventata di polemiche o ad oscillare tra critiche negative o positive. C’è sempre chi grida al miracolo e chi lo stronca senza possibilità di replica. Lo stile del regista, in molti momenti provocatorio ed esagerato, può istillare in alcuni spettatori un rigetto sia dal punto di vista dell’osservazione puramente estetica, sia nella sfera intellettuale. Si cerca di comprendere le ragioni per le quali egli voglia descrivere la ninfomania della protagonista mettendola di continuo in parallelo con l’arte della pesca, all’apparenza incompatibile. Nel corso della narrazione, però, vedendo il tutto dal punto di vista degli estimatori del regista, me compresa, tale parallelismo induce poco a poco ad entrare in un circolo di coinvolgimento totale e quasi ipnotico. Essendo incuriositi dagli esempi che ogni capitolo introduce, sfruttando le nozioni di pesca del personaggio interpretato da Stellan Skarsgaard, dotto e solitario ascoltatore dei racconti della protagonista, quasi nostro malgrado veniamo catapultati nel mondo di Joe, la protagonista del film, interpretata da Charlotte Gainsbourg  .
Questa attrice , che non risponde ai canoni tradizionali di bellezza imposti solitamente dal cinema, ma dotata di un carisma e una personalità che la rendono il perfetto strumento nelle mani del regista per esprimere la sua idea nel film, riesce ad incarnare in modo efficace un personaggio non certo facile da digerire, essendo perfettamente consapevole della propria mania e delle conseguenze che ne derivano, desiderando seguire i propri istinti fino a renderli parte fondamentale della propria esistenza, pur vivendo in un ambiente nel quale non sarebbero mai accettate come tali, ma come malattia da estirpare .Concetto espresso con chiarezza nella scena del gruppo di ascolto , dove Joe  fa  esplodere in pochi minuti la propria indignazione per come la ninfomania venga sempre associata a malessere, o sommersa da una generalizzata falsa compassione. Descrivere in queste righe quanto il regista narra con maestria nel film, non è facile senza rischiare di banalizzare il tutto, oggettivamente si può dire che sfrutta al meglio le regole del "dogma95", il movimento da lui fondato in Danimarca assieme ad altri registi: scenografie minimali, macchina da presa a mano, assenza di colonna sonora, girare rigorosamente a colori (per quanto i registi abbiano col tempo disobbedito ad alcune di tali regole, e lui per primo abbia usato il bianco e nero nella parte descrittiva del rapporto di Joe col padre nell’infanzia). Il suo stile ha un fascino indubbio, va’ seguita la sua intenzione di voler fare in realtà un film sul cinema , sul rapporto tra regista e spettatore, tra chi esprime un’idea e chi tale idea è libero di farla propria o rifiutarla. Sceglie appunto il dialogo tra due personaggi , Joe e l’uomo che le offre aiuto e ascolto dopo averla trovata priva di sensi in seguito ad un pestaggio, un dialogo tra le mura domestiche, fatto di confidenze reciproche e verità rivelate, per dare al film un’ambientazione intimista, necessaria per trattare argomenti ancora considerati pruriginosi per la morale comune..in fin dei conti si tratta pur sempre del sacro rapporto tra regista e fruitore dell’opera, quest’ultimo libero di trarre le proprie conclusioni dalla visione , secondo la propria sensibilità ed esperienza. Il fatto è che, chi più chi meno, ognuno di noi nella vita viene prima o poi messo di fronte all’effetto che i propri istinti più ancestrali possono avere sull’ambiente che lo circonda o le persone che gli sono vicine. Joe , da quel che ho potuto personalmente cogliere del suo personaggio, è perfettamente consapevole , e nella scena di alta tensione che vede protagonista l’abbandono notturno del suo bambino, vi è la conferma di ciò, della prorità che per lei assume il sottostare alla sua esigenza irreprimibile, accettandone qualsiasi conseguenza, e senza neppur concepire l’idea di un aiuto ad uscirne, trattandosi di una parte fondamentale della propria esistenza, necessaria quanto mangiare o respirare, e che l'appaga pur non avendo nulla a che fare con l'amore, e che la porta a cercare il dolore fisico o la ripetizione ossessiva di esperienze sessuali di ogni tipo.
La sola fonte di dolore dell'anima o comunque in grado di sconvolgerla emotivamente è per la protagonista il distacco dal padre quando ancora era piccola, quando l’essenza della sua sessualità era ancora agli albori, e il piacere non era ancora nella fisicità, nel corpo, ma nasceva dalla visione della bellezza nella natura e le sue creazioni. Il libro nel quale conserva le foglie d’albero che le ricordano il padre è l’unica cosa alla quale aggrapparsi, e che rimane immutata nel corso degli anni e del tempo che trascorre, immutata esattamente come la sua esigenza sessuale , reale e presente molto più dei fasulli rapporti umani che si susseguono nella sua vita, e che restano accomunati dal fatto di essere semplici strumenti finalizzati all’esigenza primaria di soddisfare le sue pulsioni.
Il corollario di interpreti dei vari ruoli di contorno è formato da un cast stellare, già introdotto dalle “scandalose” locandine che introducevano l’uscita del film: Willem Dafoe, Shia LaBeouf, Uma Thurman, Christian Slater, e il piccolo protagonista dell’epocale successo Billy Elliott, Jamie Bell, diventato ormai un ragazzo maturo, e che certamente non ci si aspetterebbe di rivedere sullo schermo interpretare il ruolo che ha nel film , pagato da donne di ogni età e origine per dar loro piacere masochistico, un mestiere di certo poco descritto al cinema, o del quale fino a Von Trier si ignorava l’esistenza. Uno dei tanti giochi che il regista regala ai suoi spettatori, non ultimo il finale inaspettato, dove ritiene necessario lasciare solo l’audio delle voci degli interpreti , e impedire la visione , come a voler sottolineare che è giusto si, guardare, ma a volte si può, e si deve, andare oltre la visione, e basta la sola percezione, l’uso di un senso al posto di un altro: a volte anche la discrezione, il non rivelato agli occhi, può far emergere comunque una realtà evidente..


Con amore, Honeybunny


Voto: 3,5 /5

IMDB page  vol. 1
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