venerdì 18 settembre 2020

Impressioni dalla 77a Mostra Internazionale d'arte Cinematografica







"Ci rivediamo sulla strada". Questa frase , pronunciata nella  pellicola vincitrice dell'ultima edizione del Festival di Venezia , racchiude in se' molto dello spirito dei tempi attuali, il bisogno di cercare o tornare alle proprie radici, di attaccarsi ai ricordi, di trovare rifugio in una culla di solidità per sopravvivere a un'esistenza  priva di certezze , dove con la scusa di salvaguardare la libertà, ti chiedono il prezzo di rinunciarvi.
Il film Nomadland di Chloé Zhao colpisce al primo sguardo per l'originalità dell'ambientazione, le strade dove transitano e trascorrono le notti posteggiati in case mobili quei cittadini americani ai quali la società ha negato un futuro stabile, privati di un'abitazione, dei loro cari , defunti o abitanti sotto un diverso tetto in una più solida situazione esistenziale o lavorativa. Frances McDormand, con la consueta capacità straordinaria di vivere i personaggi che interpreta dando loro umanità attraverso piccoli gesti o sguardi fugaci, in una recitazione sottotono ma non per questo meno incisiva, e' Fern , donna sessantenne che in seguito alla vedovanza e alle perdite subite a causa della Grande Recessione, si imbarca in un viaggio attraverso le strade dell'ovest americano con tutti i suoi possedimenti contenuti nel van su cui si sposta, sopravvivendo grazie a svariati lavori procuratasi tramite il programma CamperForce, stringendo profondi legami d'amicizia con i personaggi interpretati da veri nomadi , e con l'apporto di una sola altra star nel cast, l'altrettanto immenso David Strathairn. Dov'è il senso di un girovagare all'apparenza così angosciante, senza una meta? E' forse nelle parole di uno dei personaggi : "Cio' che amo di più della strada è che non ci si dice mai addio per sempre". Alla fine, Fern che per sua stessa amissione, non si sente "homeless" ma "houseless", continua tramonto dopo tramonto a farsi trasportare dalle sue quattro ruote, che sono la sua casa, non un semplice mezzo di trasporto facilmente sostituibile al primo accenno di guasto, è  qualcosa che deve durare  seppur  nell'incertezza di tutto il resto.












Tutte le altre opere cui ho potuto assistere, facenti parte della selezione Orizzonti o Fuori Concorso, hanno avuto in comune l'importanza della memoria, del radicarsi in un luogo anche quando i drammi della vita porterebbero a scappare, a cercare certezze altrove o in qualcosa d'altro che sia lontano da una vita quotidiana difficile da digerire:

Mila (Apples), di Christos Nikou , lascia intravedere l'influenza nello stile e nella lentezza dei ritmi di Yorgos Lanthimos, del quale il regista era l'assistente. Sconcertante storia distopica dove, in un passato non troppo distante un virus provoca improvvise amnesie nella popolazione mondiale. Chi non viene reclamato dai parenti è assistito nel costruirsi un'identità nuova. E' ciò che accade al protagonista, che inizialmente seguiamo nell'incubo della perdita della memoria, di cose all'apparenza insignificanti condivise con altri con la stessa sindrome (quale cibo piaccia o no) o più gravi (il numero civico della propria abitazione, o se si è figli o padri).  Alla fine, rimane il dubbio se la mente lasci scattare a un certo punto la necessità di non voler ricordare, quale istinto di sopravvivenza o resilienza, elaborare lutti o dolori troppo pesanti approfittando di una malattia senza cura, per una volta  salvifica più di qualsiasi vaccino o medicina...




Lacci , di Daniele Luchetti , narra la storia di una coppia dagli anni '80 ai giorni nostri (interpretata da Luigi LoCascio/ Alba Rowacher da giovani, Silvio Orlando / Laura Morante in età matura) messa a dura prova da una crisi scatenata dal tradimento di lui, ma che come il titolo vuole esprimere, rimane legata seppur traballando, grazie a tutte quelle cose o quei rapporti interpersonali e familiari che rappresentano lacci inestricabili ,  certezze che significano qualcosa di importante nonostante tutto, che vanno aldilà delle apparenze e di ciò che la nostra mente vorrebbe credere, o che i nostri occhi vorrebbero vedere, magari nascondendo realtà del tutto differenti, ma che aiutano il destino a compiersi in qualche modo...



The wasteland, di Ahmad Bahrami, interamente girato in bianco e nero, risente dell'influenza di un certo neorealismo degli anni d'oro del nostro cinema, che per stessa ammissione del regista Iraniano ha avuto profonda influenza nel suo stile, così come Bela Tarr o ,ovviamente, il compatriota e maestro Kiarostami. La loro capacità di trasmettere in immagini semplici ma profondamente suggestive nella loro limpidezza , momenti anche tragici della vita quotidiana del loro paese natale, sta alla base della sensibilità del regista, che si ispira ai ricordi col padre , operaio in una cava di mattoni come i protagonisti del suo racconto, sui quali grava l'ineluttabilità del destino, con all'orizzonte l'imminente chiusura della fabbrica . ognuno di loro passivamente in ascolto della frase ripetuta come un mantra dal padrone della fabbrica per giustificare la sua decisione, piano piano se ne vanno dal villaggio lasciando solo il supervisore Latfollah, che nell'angosciante finale usa i mattoni per rinchiudere se' stesso nel  mondo del quale era ormai rimasto unico abitante, sconfitto anche nel tentativo di tenere li con se' la donna amata).


Milestone, di Ivan Ayr (India), è un altro ritratto realistico di vita lavorativa di un camionista del Kashmir che per sopravvivere nel posto di lavoro è costretto ad umilianti compromessi. In questo caso però non ho trovato particolari lampi di originalità o amore per i personaggi, come sarebbe più consono nel descrivere situazioni così vicine alla realtà della globalizzazione e i danni da essa perpetuati al di là di qualsiasi confine...




Salvatore, Shoemaker of dreams di Luca Guadagnino, è un documentario ricco di materiali e interventi accorati di familiari discendenti e personaggi che hanno in qualche modo avuto un legame col grande calzaturiere Salvatore Ferragamo, che da un paesino dell'Irpinia si spostò nei capoluoghi principali del paese, e per molti anni anche negli Stati Uniti , il trampolino di lancio e la grande avventura che lo portò a farsi conoscere in tutto il mondo e a dargli i primi strumenti per il business . Divenne amico e stilista personale delle star della Grande Hollywood degli albori, diventando ciò che ancor oggi rende il suo marchio caposaldo del Made in Italy. Il regista Guadagnino fa conoscere ai più la genialità del fondatore, che al di là del mondo delle calzature era un appassionato studioso e geniale inventore, unico nel suo campo a considerare davvero l'importanza del piede e dell' equilibrio tra praticità e estetica delle scarpe, non per questo esenti dal diventare autentiche sculture dall'elevato valore anche artistico.



Listen, opera prima dell'attrice portoghese Ana Rocha de Sousa ( ha ritirato il doppio premio , Leone del Futuro e premio speciale della Giuria orizzonti, con la voce interrotta da un pianto inesauribile, dando vita ad un momento memorabile della premiazione in diretta), racconta la straziante parabola di una coppia , Bela e Jota, portoghesi da anni naturalizzati cittadini britannici, i quali a causa di un malinteso e dell'incomunicabilità dei servizi sociali inglesi si vedono portar via i tre figli. 





City Hall, monumentale ultima opera di colui oggi considerato il più grande documentarista vivente, quel Frederick Wiseman autore del bellissimo Ex Libris- The New York City Public Library che mi entusiasmò nell'edizione del festival del 2017, anche qui non delude, e lascia scorrere come acqua limpida i 270 minuti di durata, con una descrizione appassionata e coraggiosa di ogni sfumatura della vita amministrativa della città di Boston, le cui immagini fotografate con una luce da lasciar senza fiato, si intervallano agli ambienti chiusi teatro delle convention, dei briefing, delle voci corali degli abitanti alle assemblee, il tutto legato dal personaggio principale, interprete di se' stesso, il sindaco in carica della città di Boston, quel Marty Walsh la cui famiglia immigrata Irlandese lo rende umanamente così vicino ai suoi cittadini, a quel melting pot di cui si rende quotidianamente , orgogliosamente, autenticamente portavoce appassionato.


Crazy, not insane, di Alex Gibney, presentato Fuori Concorso, è certamente di livello inferiore al succitato City Hall, ma non per questo meno interessante riguardo al tema trattato: la storia della psichiatra forense Dorothy Otnow Lewis, osteggiata ai tempi delle sue analisi scientifiche espresse all'interno di processi a celebri serial killers statunitensi, poiché fautrice convinta  della teoria secondo la quale il male non è  insito alla nascita negli assassini seriali da lei trattati nel corso di una lunga carriera medica (incluso il celebre Ted Bundy) bensì causato da traumi infantili le cui conseguenze hanno segnato inevitabilmente la parte del cervello che porta a gesti estremi e incontrollati.
Marty Walsh, sindaco di Boston e protagonista nei panni di se'stesso in City Hall


Genus Pan , di Lav Diaz,  vincitore del premio Orizzonti per la Miglior Regia, è una catena di bellissime immagini in bianco e nero, dove le figure entrano nel paesaggio sempre dal lato sinistro dell'immagine, in una costante che incanta, forse più dei contenuti, alla fine anche qui ridotti alla narrazione umanistica di personaggi ai margini della società e oppressi da un destino che non lascia loro alcuna possibilità di redenzione , rassegnandoli alla ripetitività di gesti quotidiani o all'illusione di fughe che rimangono comunque nei limiti dei loro quartieri d'origine.




Un momento che rimarrà negli annali di questa edizione, in sordina rispetto agli anni precedenti a causa delle restrizioni dell'emergenza sanitaria, posso dire sia stato l'intervento di Pietro Castellitto, nel discorso di ringraziamento per il Premio Orizzonti alla miglior sceneggiatura, vinto dal suo film I Predatori: accusa di sincerità nei ringraziamenti solamente "gli infami e i bugiardi", spingendo anche l'attore Pierfrancesco Favino, vincitore della Coppa Volpi come miglior interprete maschile per il film Padrenostro, a ironizzare sulla frase ringraziando la giuria, quest'anno presieduta dall'attrice Cate Blanchett

Con amore, Honeybunny 


La giura di Venezia 77, presieduta da Cate Blanchett e composta da Matt Dillon, Veronika Franz, Joanna Hogg, Nicola Lagioia, Christian Petzold e Ludivine Sagnier















1 commento:

  1. Leggendoti mi è sembrata un'ottima annata per il cinema in Mostra.
    Hai scritto delle recensioni persuasive nel linguaggio e performanti
    nell'informazione. Brava hai centrato l'obiettivo primario del critico
    cinematografico: proporre al lettore gli elementi indispensabili per
    una scelta consapevole del film preferito.
    Nel mio caso ho scelto "Nomadland", perchè ho sempre avuto una preferenza
    per le storie di viaggio, per i personaggi senza tetto nè legge e sento più
    che mai il richiamo del vagabondaggio
    Ti abbracciamo
    Maurizio & Luisa

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