martedì 4 giugno 2019

Dolor y Gloria - Recensione




Dolor y Gloria
Spagna, 2019

Regia: Pedro Almodòvar
Sceneggiatura: Pedro Almodòvar
Cast: Antonio Banderas, Penélope Cruz, Asier Etxeandia, Cecilia Roth, Nora Navas, Julieta Serrano, Asier Flores
Durata:1h53
Genere: Drammatico

Quando il cinema ti entra nel sangue, tu vivi per esso e la tua intera esistenza ne diventa inestricabilmente legata, diventa riduttivo definirla "passione", risulta impossibile tracciare confini tra l'arte che ti appassiona e la realtà  vissuta quotidianamente.
Nell'ultima sua opera Almodòvar si svela definitivamente e col coraggio dell'autobiografia, raccontando proprio se' stesso, tra memorie che desidera tenere in vita e ritrovare dopo anni di accantonamento, e altre che preferisce lasciare riposare nel tempo, laddove avevano avuto i loro attimi di intensità, che non potranno comunque più ripetersi.
C'è stata senz'altro un'evoluzione profonda, nell'uomo Almodòvar, e lo si scopre piano piano, accompagnati da sequenze e personaggi che vivono il tempo di un singolo capitolo, ma che hanno un forte impatto narrativo, grazie alla capacità del regista di presentare la storia con estrema lucidità e semplicità, ma allo stesso tempo lasciandosi trasportare dalle emozioni.
Antonio Banderas e Nora Navas
La  fotografia e le scenografie rimangono le stesse alle quali ci aveva abituato: solari , colorate, un'esplosione di bellezza che rimane costante, sia nei momenti di gioia , sia in quelli di dolore. 
Non poteva esserci interprete più perfetto di Antonio Banderas, nel cui volto sono impressi i segni di un cuore fragile,  e del tempo che ti trasforma soprattutto fisicamente, oltre che nell'animo.
Per stessa ammissione del regista in una recente intervista, l'aver ritrovato l'interprete di tanti suoi film di successo così provato nel fisico lo ha commosso ma nello stesso tempo ne ha fatto maggiormente apprezzare il lato umano, la sofferenza che traspare dal suo volto, ma da' anche alla sua recitazione una lentezza e pacatezza perfette nel rendere le peculiarità del personaggio, afflitto da ogni genere di malanno fisico e da un blocco creativo che va di pari passo alla sua crisi esistenziale.. interpretazione che gli è valsa il premio principale all'ultimo Festival di Cannes.
Sin dalle prime immagini, nella grafica anatomica affascinante di Juan Gatti , lo spettatore è lanciato di getto nella lunghissima sequenza delle afflizioni fisiche del protagonista, e poi con pazienza accompagnato nel suo lento ritorno ad una vita della quale poco si conosceva, e fino ad oggi mai del tutto svelata perché giustamente protetta dagli effetti pericolosi che una fama internazionale porta sempre con se'.
Il parallelo tra vita e arte cinematografica viene spesso alla luce: quando viene chiesto al protagonista se la sua prossima opera sia dramma o commedia, risponde: "Non lo so, non lo sappiamo mai". 
Come se all'inizio ogni narrazione scritta, poi resa in monologhi teatrali o immagini filmate, nascesse come semplice racconto, estrapolazione di sensazioni che poi strada facendo prenderanno la loro strada, a seconda di ciò che lo spettatore ne ricaverà. Qualsiasi cosa diventino, nella gioia come nel dolore, avranno avuto una loro ragione d'essere, o permesso alla vita di prendere la direzione designata. ..
il piccolo Asier Flores e Penelope Cruz
Ci sono accenni, nel corso della visione, che potrebbero già rivelare che si tratta di un film-nel film, e penso al colore degli occhi dell'anziana madre (Julieta Serrano) di un verde quasi trasparente, poco rispondente al marrone intenso di quelli di Penelope Cruz che la interpreta negli anni giovanili. Una mossa onesta e leale del regista verso lo spettatore, ma resa con una delicatezza e un rispetto tali per cui fino alla fine non te ne rendi conto, perlomeno coscientemente, e il finale arriva comunque nello stupore, facendo sgorgare lacrime impossibili da trattenere.
Ti accorgi che è sempre stato l'Amore, sia esso per il cinema, sia per chi ha attraversato il suo cammino esistenziale , a dare linfa vitale ad un uomo che ha fatto entrare l'arte in ogni più piccolo meandro della propria esistenza, non si tratta solo di collezionare dipinti dai quali è impossibile separarsi , perchè "vivono" con lui, ma anche per lo spazio che divi e miti cinematografici hanno sempre trovato all'interno della sua vita, sin dall'infanzia: vede piangere una star in uno dei suoi film del cuore, e da lì impara la sofferenza; altri fanno nascere in lui la curiosità per cosa sia la loro vita fuori dalla celluloide, e comunque a modo loro ognuno di essi ha avuto un peso nella sua crescita. 
E' questo che fa spesso confondere cinema e realtà, che gli permette di continuare a creare, nonostante la sofferenza e le continue fonti di scosse emotive che lo circondano, poichè è soprattutto in questo la bellezza della vita: un oscillare continuo tra Dolore e Gloria, o tra il sogno impalpabile della creazione artistica e i drammi della vita reale, che diventano un'unica essenza, e probabilmente lo sono sempre stati. 

Con amore, 
Honeybunny.


Asier Etxeandia e Leonardo Sbaraglia



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