sabato 8 settembre 2018

Impressioni dalla 75a Mostra del Cinema di Venezia




I diversi livelli in cui la realtà quotidiana fa trovare spazio ad eventi eccezionali in grado di stravolgerla, è tema comune a molti film del Festival di quest'edizione:

 First Man di Damien Chazelle:

Nel film d'apertura, l'uomo destinato a lasciare la sua impronta nella storia calpestando per primo il suolo lunare, nasconde in sé l'angoscia di un lutto insuperabile. Sebbene l'espressione monocorde di Ryan Gosling non renda nel giusto modo le sfumature, si può intuire quanto l'emozione provata trovandosi davanti agli occhi un mondo fino ad allora inesplorato, gli permetta di condividere con quei silenzi siderali la presenza costante della figlioletta, presente più che mai in quel momento, quanto nei suoi ricordi più strazianti..

 The Mountain, di Rick Alverson:
Tye Sheridan e Jeff Goldblum

il protagonista, il giovane Tye Sheridan, oppresso nel quotidiano dall'assenza della madre, con la scusa di documentarne con la macchina fotografica le reazioni dei pazienti, viene a contatto con la realtà scioccante degli esperimenti del dottor Fiennes (ispirato alla reale figura del medico  Walter Freeman, fautore della lobotomia estrema per curare le malattie mentali)  e trova nel rapporto col medico, interpretato con aderenza e misura da un sempre superbo Jeff Goldblum, un'apparente via d'uscita, una figura in grado di sostituire il padre, un Udo Kier purtroppo relegato a un breve ruolo, incapace di distogliere l'attenzione dal suo mondo di insegnante di pattinaggio artistico e dedicarsi al figlio . Il film prende quindi la strada del Road movie, dai ritmi lenti e dove ogni singola scena viene ripresa sullo schermo come fosse inquadrata nella tela di un pittore. Il mondo degli anni '50 in cui si ambienta il film viene reso tramite una fotografia sgranata, nei toni del marrone beige della terra bruciata e il verde intenso delle boscaglie ai lati di strade sterrate dove i protagonisti percorrono le loro tappe in sperduti paesini di provincia. La chiarezza e la simmetria di ogni inquadratura quasi ipnotizzano lo spettatore. La montagna del titolo, oltre a rappresentare la meta del viaggio per il protagonista, viene rappresentata ripetutamente in dipinti , e nemmeno la banalità di esecuzione di tali opere  può ridurne il valore emotivo per il protagonista,  un giovane problematico che viene svezzato e iniziato alla realtà degli adulti grazie alla passione per la fotografia e alla  capacità delle immagini fotografiche di immortalare attimi che altrimenti andrebbero persi nel tempo e nello spazio, spesso nascondendo al di là della loro bellezza statica, l'orrore quotidiano .







Nuestro Tiempo, di Carlos Reygadas:

Nelle parole del regista, il tempo è la cosa più bella del cinema, tramite esso si costruisce il ritmo di un film, molto più che tramite la sceneggiatura o l'interpretazione, o la fotografia. E' suo parere che non si debba parlare di argomenti importanti in modo superficiale, poiché il mondo è un posto ingiusto e non si dovrebbe mai smettere di ribellarsi e lottare contro l'ingiustizia. In quest'opera, dove coraggiosamente mette in mostra il suo ambiente di vita quotidiana e la sua esperienza più intima , racconta la strada percorsa nell'accettare la possibilità di cambiare la sua relazione coniugale con una maggiore ampiezza di vedute, sforzandosi di permettere esperienze da coppia aperta all'interno di un rapporto dove in realtà ancora esistono dubbi e ferite profonde, e un amore a suo modo ancora potente nell'anima di entrambi. Ha confessato il regista che  la scelta di utilizzare moglie e figli della sua vita reale è stata casuale, sono entrati a far parte del film a lavori già iniziati, e ritiene che il film avrebbe potuto ottenere gli stessi risultati utilizzando estranei nei ruoli principali. La resa delle scene è superba, con l'uso dell'inquadratura a rendere la vastità degli spazi delle campagne messicane, con una fotografia calda e crepuscolare, una colonna musicale pressoché assente, che lascia parlare i rumori della natura selvaggia. Vi si può leggere un omaggio alla vita di campagna e ai tori, entrambi concetti diventati fuori moda secondo l'opinione del regista.
Un'opera che sembra avere ottime possibilità di riconoscimento all'interno dell'edizione di quest'anno, assieme all'altro immenso e potente affresco regalatoci da Alfonso Cuaron :

 Roma . Si chiama così ma è un quartiere di Città del Messico . Anni ‘70. Un personaggio di donna che porta sulle sue spalle quanto un solo cuore sembra non poter sopportare . E basta anche una sola scena per farti crollare definitivamente .. che tu sia nato lì e in quell'epoca , o che tu sia perfettamente integrato nel tuo mondo frenetico e a colori , queste immagini in bianco e nero sono più potenti di qualsiasi limite di spazio o tempo , e sanno far emergere emozioni che non conoscono frontiere di età , esperienze , sensibilità , origini o cultura . Sono universali.

E' stato chiesto al direttore Alberto Barbera una giustificazione nell'aver introdotto quest'anno molte opere che appariranno direttamente nel mercato dello streaming , e del colosso Netflix, e nella sua risposta la conferma che  laddove si cerchi la qualità , questa ha il diritto di esprimersi anche attraverso  canali diversi, e la creatività degli autori oggi deve necessariamente integrarsi con nuovi modi di fruizione da parte del pubblico, alla luce dell'evoluzione dei tempi. Un esempio, la divertente epopea western , narrata per singoli racconti, dei geniali fratelli Coen, The Ballad of Buster Scruggs, destinata alla serialità su Netflix l'anno prossimo, e che diverte e ammalia lo spettatore nelle due ore di grande spettacolo, con un cast di attori strepitosi e situazioni grottesche ma anche commoventi, e dove sentimenti autentici vengono rappresentati in tutta la loro schiettezza, con un comparto tecnico come sempre all'altezza.

Mario Martone partecipa al concorso col film Capri-Revolution, terzo capitolo di quella da lui definita La Trilogia del Cardillo, composta anche da Noi credevamo e Il giovane favoloso. Scritto assieme alla moglie Ippolita De Majo e interpretato da Marianna Fontana, Reinout Scholten Van Aschat, Antonio Folletto e  Donatella Finocchiaro, è ambientato nel 1914 alla vigilia della prima Guerra mondiale, quando una giovane pastorella di Capri incontra una comune nordeuropea che vi ha trovato la culla ideale per la ricerca nella vita e nell'arte. "La parte politica" ha affermato il regista stesso, "è importantissima, ma non nella forma storica e ideologica, attraverso il racconto volevo cogliere il senso di utopia e cambiamento, immaginando un diverso modo di vivere, prima dei compromessi". A spingerlo nel lavoro è sempre pensare al presente, pur ambientando i film in tempi passati:
" in un momento in cui il presente è così confuso, quello che è accaduto e ancora potrebbe accadere grazie al racconto fantascientifico, è in grado di spiegare meglio il nostro quotidiano". Emoziona e coinvolge, utilizzando un cast volutamente estetizzante, location selvagge e solari, insinuando il dubbio in ogni scena, tanto che nell'uscire  dalla sala hai la voglia di percorrere con uno sguardo nuovo  il cammino che può portare alla risposta...
Capri Revolution di Mario Martone

 Mike Leigh trasferisce  in immagini  il cosiddetto massacro di Peterloo, avvenuto  a Manchester, con un utilizzo  superbo della parola e dei dialoghi per mostrare i diversi livelli di coinvolgimento delle persone fino a portarle al perseguire un sogno, un'illusione di vero autentico cambiamento e , facendo parlare sindacalisti ante-litteram dei quali disegna con precisione le reazioni da loro suscitate nei vari personaggi protagonisti, dal popolo fino agli esponenti della stampa dell'epoca o ai detentori del potere. Anche qui, temi universali quali la libertà, il benessere del popolo e la spartizione iniqua della proprietà, la bellezza della natura e la dignità del lavoro,  si scontrano con la crudeltà e l'avidità dell'essere umano , e  sono concetti che non conoscono confini di spazio e tempo, e dove il passato dovrebbe servire da monito per non ripetere gli stessi errori nel presente. E ancora si ripresenta quell'evento inaspettato che causa la rottura della realtà quotidiana, o di quelle che fino a poco prima sembravano certezze : la Guardia nazionale reprime nel sangue un comizio pacifico, uccidendo centinaia di manifestanti, inclusi donne e bambini.

L'edizione di quest'anno verrà anche ricordata per il film Fuori Concorso Sulla mia pelle:
 la scandalosa vicenda di Stefano Cucchi (per l'esattezza la settimana intercorsa tra l'arresto e la morte), narrata  con stile essenziale dal regista Alessio Cremonini, che ottiene da Alessandro Borghi un'interpretazione memorabile , giocata su una impressionante aderenza  fisica al personaggio, e impegnata a  cercare di immaginarne anche piccoli e apparentemente secondari dettagli . Un'opera necessaria, nel mondo di oggi dove la manipolazione degli ascolti e dell'informazione rischia quotidianamente di tenere lontana l'opinione pubblica dalla realtà, e dove molto rimane incompiuto e senza risposta, per cui  avere un proprio punto di vista su ciò che ci succede intorno diventa ormai una sfida continua. Come ha affermato il regista: "Sulla mia pelle, tra le varie cose, è modo di battere, di opporsi alla più grande delle ingiustizie: il silenzio."

Purtroppo ricorderemo anche la polemica suscitata dall'assenza di quote rosa nella scelta dei registi in concorso,  a conclusione della quale un increscioso episodio ne ha visto protagonista proprio l'unica donna  regista in concorso, Jennifer Kent, insultata con il più volgare eppitteto si possa rivolgere ad una donna, a conclusione della proiezione del suo film , The Nightingale, la storia violenta e dai contorni splatter che racconta una vicenda di stupro e vendetta di una donna in Australia. L'autore del fatto , uno spettatore italiano, si è pubblicamente scusato nei social per l'accaduto , e si è visto ritirargli l'accredito dalla direzione della Biennale.

Al di là della selezione in concorso, si segnala la proiezione del film tratto dal celebre fumetto di Zerocalcare, La profezia dell'armadillo, in omaggio al quale il regista Emanuele Scaringi chiama i due interpreti principali, Simone Liberati e Pietro Castellitto, a vestire i panni dei due amici protagonisti delle tragicomiche vicende di due abitanti del quartiere romano di Rebibbia, Zero e Secco. Gli esiti sono apprezzabili in  minima  parte solamente da chi sia uno storico fan della graphic novel, ma è meglio soprassedere riguardo al valore artistico, nonostante lo sforzo e il risultato finale ottenuto dai due interpreti siano  ammirevoli..

Una nota dolente scaturisce dalla pomposa e manierata incursione nei drammi nazisti della Germania anni 40 regalataci dal regista Florian Henckel von Donnersmark, nel film Opera senza autore,  dove non bastano la professionalità di un attore del calibro di Sebastian Koch, in un ruolo odioso ma ben delineato, e le belle facce dei giovani protagonisti , a salvare un'opera la cui lentezza, l'uso improprio della musica ridondante e la ripetitività e banalità di elementi espressi nella storia, la citazione sfacciata di aforismi tratti da altri film, o elementi in colonna sonora o in alcune ambientazioni, fanno sospettare un tentativo di arruffianarsi il pubblico italiano , lasciandoti con la sgradevole sensazione di artificiosità e poco rispetto per l'intelligenza di chi guarda .

Unica opera Orientale in concorso, Killing di Shinya Tsukamoto:
punto di vista originale nello scavare nell'intimità di un giovane ronin dilaniato dai dubbi , e le cui poche ore descritte nel film vengono narrate dal regista con stile realistico e crudo, essenziale nella messa in scena , impreziosito dalla recitazione spontanea dei protagonisti (tra cui il regista stesso) e con una sensazione di inquietudine che accompagna tutto il film, girato con movimenti di macchina repentini , inquadrature asimmetriche e  una colonna sonora che sembra ricostruire l'inferno stesso, il tutto all'interno di una natura rigogliosa , dove nemmeno la  pioggia sembra riuscire a pulire il sangue che scorre a fiumi dai corpi martoriati.

Con amore,
Honeybunny

I due protagonisti di Killing di Shinya Tsukamoto

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