sabato 9 settembre 2017

Impressioni dalla 74a Mostra del Cinema di Venezia




Sarà una difficile scelta per la giuria di quest'anno. Raramente mi è capitato di assistere ad un tale sussegguirsi di opere di qualità all'interno del Festival . Un'edizione, questa 74esima, nella quale il tema dei cambiamenti climatici e il loro impatto sulla vita dell'uomo è particolarmente sentito. Già dal film d'apertura, Downsizing di Alexander Payne, con l'uomo qualunque interpretato da Matt Damon che con entusiasmo fanciullesco  scopre le mille sfaccettature di quella che sembra la scoperta  scientifica del secolo, il processo di miniaturizzazione ideato da uno scienziato norvegese , allo scopo di risolvere il problema della sovrappopolazione e lo sfruttamento delle risorse. Il suo cammino in seguito all'accettazione di farne parte, sarà comunque lastricato da dubbi , e da incontri illuminanti , tra cui il cinico Dusan , uno strepitoso Christoph Waltz con accento serbo.
Qui si tratta di una satira sociale , tramite la quale il regista di Nebraska nel consueto stile lucido e provocatorio fa un ritratto impietoso dell'ipocrisia americana , ma la stessa tematica dell'umanità che ignora i rischi delle sue azioni irresponsabili a spese del pianeta che la ospita, si ritrova in un film di tutt'altro spessore, ossia First reformed di Paul Schrader, dove il pastore calvinista Ethan Hawke , con l'anima già tormentata e una malattia che gli devasta il corpo giorno per giorno, si appassiona alle indagini sul suicidio di un militante ecologista della sua comunità, nella convinzione che far venire a galla la verità lo avvicini alla tanto agognata redenzione. Una fotografia suggestiva , che avvince sin dall'incipit, dove nel silenzio assoluto la macchina da presa ci offre  l' introduzione tematica e figurativa   del film.
Sarebbe bello dare un riconoscimento a questo grande regista , oltre che  sceneggiatore di tanti capolavori di Martin Scorsese, ma temo che dovrà lottare con quello che è ormai il vincitore morale di questo festival, ossia il capolavoro fantasy di Guillermo del Toro The shape of water, calderone di idee ispirate alla fantascienza anni '50 amata e vissuta dal regista nella sua adolescenza, e che qui prende nuova vita grazie a una raffinatissima ricostruzione d'ambiente e un cast di attori dai volti giusti e in  perfetta alchimia, che danno vita a personaggi che rimarranno nella memoria degli spettatori.
Due film in particolare stanno  dividendo pubblico e critica : mother! di Darren Aronofsky, che dopo i successi di The Wrestler e Il Cigno Nero aveva riempito gli animi festivalieri di grandi aspettative, e presenta qui una lode alla nuova compagna Jennifer Lawrence, ripresa morbosamente in dettagli del giovane corpo , con la scusa di essere il  soggetto attorno al quale ruota l'inquietante vicenda. E' un'opera di difficile valutazione, in effetti: ha senz'altro, per quanto mi riguarda, raggiunto lo scopo di far vivere tangibilmente le sensazioni di una donna travolta dall'invadenza dei propri spazi e di ogni angolo di intimità da parte di orde di estranei, in un delirio che si scatena piano piano, partendo dall'inquietante coppia interpretata da Michelle Pfeiffer e Ed Harris, e arrivando all'apoteosi del finale , solo all'apparenza liberatorio. Altri vi hanno letto il delirio di un pazzo in totale confusione di intenti, di generi , di sottotesti e simbologie che non ne giustificherebbero l'esagerazione dell'insieme.  A far nascere l'idea del film, nelle dichiarazioni del regista, si torna anche qui al tema ambientale: "Come specie il nostro impatto è diventato pericolosamente insostenibile, ma continuiamo a vivere in uno stato di negazione delle prospettive che gravano sul pianeta. Una mattina mi sono svegliato da questo brodo primordiale di angoscia e impotenza e ho visto questo film sgorgare come da un sogno delirante".
L'altro film è Mektoub, My Love: Canto Uno di abdellatif Kechiche, prima parte di una promessa trilogia. Se una parte di pubblico e critica vi ha visto una volgare e gratuita sequenza di fondischiena  franco-tunisini in bella mostra,  altri ne hanno invece riconosciuto la maestria con la quale il regista si dimostra ancora una volta, dopo La vita di adele, sottile e lucido analizzatore della vita anche nei dettagli che ci sono quotidianamente presentati all'occhio, ma che difficilmente si riesce a rendere con l'uso della parola o delle immagini. Interpreti di incredibile spontaneità , ripresi in una fitta rete di dialoghi che poco a poco ci fanno trovare completamente immersi nella storia, dando ai 180 minuti di lunghezza del film una leggerezza e una vitalità che incantano, e questo nonostante l'insistenza nei dettagli anatomici possa essere effettivamente elemento di disturbo, questo non lo si può negare.
Infine, grandi possibilità di vittoria al bellissimo documentario di Frederick Wiseman: EX LIBRIS - The New York Public Library, dove il circuito della biblioteca pubblica newyorchese viene analizzato attraverso un'utilizzo raffinato della parola, sia nell'esperienza di chi è a contatto quotidianamente con la sua delicata amministrazione , sia di famosi personaggi della scena sociale e artistica della città, ospitati dalla biblioteca in occasione di eventi o incontri, il tutto alla luce di quello che sarà il futuro:  nuove tecnologie alle quali entro breve la tradizione dovrà lasciare spazio .
Un'esperienza di cui sarò grata all'edizione di quest'anno, e spero non passerà inosservata dalla distribuzione in sala, è stato un altro documentario, diretto da Chris Smith, dal titolo JIM & ANDY: the great beyond the story of Jim Carrey & Andy Kaufman featuring a very special, contractually obligated mention of Tony Clifton. Con una perfetta opera di montaggio sono stati recuperati filmati rimasti per 20 anni nello studio dell'attore Jim Carrey ai tempi della lavorazione del film di Milos Forman MAN ON THE MOON. Il backstage esilarante della trasformazione del geniale comico nei personaggi di Andy Kaufman e Tony Clifton è intervallata dalla commovente intervista nella quale Carrey documenta il suo percorso durante la lavorazione di quel film,  passando attraverso i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo e regalando coraggiosamente allo spettatore memorie e pensieri privati , la sua evoluzione come uomo e come artista nel corso degli anni, e in particolar modo durante quei mesi di esperienza nei quali ridette vita al compianto Andy Kaufman, prematuramente scomparso ma la cui eredità si dimostra ancora oggi più vitale che mai. Quando Carrey arriva a ricordare le parole del padre "Se dobbiamo fallire, almeno succeda facendo qualcosa che amiamo ", è impossibile non commuoversi assieme a lui.
Certo, lo schiaffo finale questo festival lo potrebbe dare facendo vincere la Napoli burlona dei Manetti Bros rappresentata in AMMORE E MALAVITA , un film senz'altro tecnicamente ineccepibile, nel miglior stile al quale già ci aveva fatti abituare questo duetto di registi, e senz'altro musiche e interpreti perfetti rendono  questo fumetto animato un autentico spettacolo per gli occhi e lo spirito, con uno stile unico e modernissimo, momenti esilaranti che specialmente i cultori del genere e gli abitanti della città sapranno cogliere meglio di chiunque altro, ma non è sicuramente quello del festival il contesto nel quale presentare un'opera di tale genere, e si insinua il dubbio che qualcosa sia stato forzato almeno un pò,  nel caso avesse la meglio tra  opere di ben altro spessore e contenuto...

Alla serata di  domani l'ardua sentenza,

con amore,

Honeybunny


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