lunedì 22 aprile 2013

Dall'Udine Far East film festival...



Première europea di un potente film di produzione Thailandese, terza opera del regista Kongkiat Khomsiri: The gangster , tratto da fatti veramente accaduti negli anni '50, descrive un mondo a noi occidentali apparentemente distante , ma in realtà analogo, nelle emozioni e le esperienze di chi abbia vissuto le guerriglie urbane dei sobborghi popolari nel dopoguerra, le lotte interne tra bande rivali che tanto hanno ispirato la cinematografia dagli anni '40 in poi. Il regista dimostra di conoscere e di dover molto a Scorsese o Coppola, vedendo l'amore per i suoi personaggi, la violenza finalizzata al racconto realistico di una storia nelle sue verità più dolorose e nei suoi episodi tanto sanguinari quanto avvincenti. E' un susseguirsi di scene madri di forte impatto visivo.
Questo talentuoso regista meriterebbe dalla distribuzione il giusto spazio, e si spera che questa sua opera così sincera e poetica , pur nella sua crudezza, non resti segregata negli archivi di un festival. L'evoluzione dei  due giovani protagonisti , attraverso le cui storie si narrano gli avvenimenti del film, ha la stessa forza delicata ma trascinante del magnifico Goodfellas di Scorsese. Il fulcro della storia è il loro cammino nella malavita, dagli esordi , osservando ammirati le gesta del loro "eroe" Jod, (un personaggio memorabile, di un'umanità straziante seppur nell'efferatezza dei suoi gesti da vice del boss, necessari per stabilire un  ordine  all'interno del caos radicato nel mondo che abita, e la cui anima emerge anche grazie al suo rapporto con una madre forte e influente per lui,  ma non autoritaria) , passando poi al momento in cui le strade dei due ragazzi sono ormai irrimediabilmente divise, fino al culmine in un finale dominato dall'esplosione definitiva di tensioni ormai portate all'esasperazione. Il regista lega tra loro gli eventi con un evidente istinto per la narrazione; come spettatore, il rock 'n roll locale che senti risuonare ti fa ricordare il montaggio entusiasmante di canzoni leggendarie che in Scorsese stemperavano la tensione della violenza, del sangue a fiumi che in questo film è mostrato in tutta la sua sgradevolezza;  dove Scorsese allontanava la cinepresa per un qualche recondito scrupolo finale, qui non si lesina sofferenza allo spettatore, una sofferenza visiva che diventa quasi fisica, si vede agire gente che non dava alcun valore alle vite altrui, nel momento in cui si fossero malauguratamente trovate ad incrociare le strade delle gang, o in qualche modo avessero ostacolato la corsa a un potere tanto illusorio quanto radicato nella vita quotidiana della loro provincia.
Alcune scene, come il tentato patto col gangster rivale ambientato tra i campi di granturco, riportano alla mente la "sepoltura" in Goodfellas e gli atti efferati di Joe Pesci, ma certamente qui la mano del regista si fa' pesante. Ma è un'entusiastica volontà di portare a conoscenza una pagina sanguinosa della storia del suo paese, episodi sconosciuti a chi viveva agli antipodi.
Gli spazi ironici che descrivono l'epoca, dove idoli quali Elvis o James Dean influenzavano la moda e le movenze dei giovani, sono solo una cornice che aumenta la crudeltà dei momenti in cui la violenza esplode. Ti sembra di camminare in quelle strade, in quei vicoli e mercati colorati, tra il fumo dei postriboli e l'umidità che ti scivola sulla pelle attraverso camicie di lino fresche di bucato, che due minuti dopo s'impiastricciano di sangue. Ti sembra di poter ridere delle stesse battute goliardiche tra amici, prima che la polizia disturbi il loro idillio o che un colpo di pistola, che ormai ha sostituito i pugnali, interrompa bruscamente la musica del juke-box.

Con amore, Honeybunny.

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