Dell'ultimo Festival Internazionale d'Arte Cinematografica del Lido di Venezia, restano vivide nella mia mente le immagini di alcune opere che hanno saputo ben conciliare il racconto documentario con la finzione cinematografica, ed è stata una caratteristica comune di ben tre film , non in concorso, proiettati nella prima giornata di Mostra: Stories we tell di Sarah Polley, Enzo Avitabile Music Life di Jonathan Demme, Kinshasa Kids di Marc Henri Wajnberg.

Sempre attraverso voci autentiche di un protagonista, anche l'opera di Jonathan Demme riesce a trasmettere l'umanità di un artista che magari a molti non è familiare, o del quale si è poco analizzata la presenza nelle scene musicali , almeno di recente. In realtà, Enzo Avitabile, grazie a questo incontro con un regista Hollywoodiano casualmente colpito nel cuore dalla sua musica trasmessa alla radio un giorno d'ottobre di sei anni fa, mentre attraversava George Washington Bridge, emerge in tutta la sua grandezza di cantautore appassionato e generoso, che ha fatto della continua ricerca e sperimentazione un segno distintivo, e che lo rende capace di unire in modo impeccabile le sue melodie a quelle di altri artisti provenienti da culture musicali diverse, in duetti ipnotici e suggestivi che trascinano lo spettatore per gli 80 minuti della proiezione, ambientata tra Napoli e Marianella, città natale del protagonista. Una lista considerevole di artisti accompagna Avitabile in questo viaggio nella sua vita in musica: Eliades Ochoa, Naseer Shamma, Gerardo Nùnez, Ashraf Sharif Khan Poonchwala, Trilok Gurtu, Luigi Lai, Zi' Giannino Del Sorbo, Amal Murkus, lo Djivan Gasparyan Trio, Hossein Alizadeh, Daby Touré e Bruno Canino. Lunghi minuti di applausi hanno seguito la proiezione in Sala Grande di questo progetto, nato dalla stima reciproca tra i due artisti, e presentata fuori concorso.
La terza opera cui accennavo, Kinshasa Kids, prende ragazzini di strada congolesi con una istintiva capacità attoriale, e li riprende nella loro quotidiana ricerca di un riscatto attraverso la musica. Il loro sogno di formare una band li dovrebbe aiutare a superare barriere sociali nelle quali le loro stesse famiglie li costringono, considerandoli stregoni sin dai loro primi vagiti, cacciandoli e rifiutandone ogni loro tentativo di esistere dignitosamente. Il finale ottimista dà loro una possibilità, e chiude un'opera di crudo realismo in stile documentario, con momenti di ilarità e tenerezza che creano per questi piccoli protagonisti un'istintiva simpatia , senza cadere nel patetico, con una fotografia nitida e una recitazione naturale di tutti gli attori. Anche quest'opera era presente all'interno delle Giornate degli autori.
Con amore, Honey Bunny
Nessun commento:
Posta un commento