venerdì 16 settembre 2011

Venezia 2011: Un consuntivo .



Un Festival, quello di quest'anno, all'insegna delle storie di immigrazione, di ingiustizie sociali e di perversioni sessuali che portano , quando non a una completa guarigione come nel caso del film di David Cronenberg, A dangerous method, sul triangolo Freud-Jung-Spielrein, all'alienazione totale o ad obbligate scelte di vita come nel greco Alpes, vincitore dell'Osella d'oro alla migliore sceneggiatura. Certo, tra le molte opere degne di nota viste al festival appena trascorso, quest'opera dell'autore greco Yorgos Lanthimos , nel grigiume sporco della fotografia e la piattezza delle vite dei protagonisti, non ha certo lasciato un alone di entusiasmo dietro di se' all'uscita dalla sala.

Sicuramente originale come soggetto (trattavasi di persone apparentemente ordinarie che, sotto copertura di un gruppo sportivo che aveva come sede una palestra, contattava familiari di persone decedute proponendosi come sostituto del caro estinto, studiandone movenze, esperienze passate, gusti personali, frasi caratterizzanti la persona in questione e suggerite loro dai familiari stessi, incapaci di accettarne la dipartita), ciò non toglie che la resa in immagini ne abbia sottolineato l'aura deprimente e uno sforzo di realismo che alla fine poteva essere utilizzato meglio, senza lasciare tutto sulle spalle di bravi attori di stampo teatrale.





Altra amara delusione è legata alla splendida nuova opera di Roman Polanski, alla fine vincitore morale del Festival, col suo film Carnage amato da critica e pubblico nella loro totalità, al quale non è stato conferito alcun premio. Senza nulla togliere all'attrice cinese del film Tao Jie, effettiva vincitrice della Coppa Volpi, sia Jodie Foster sia Kate Winslet , avendo dato prova di due perfette interpretazioni, l'avrebbero meritata in pieno, come del resto i quattro interpreti tutti, specialmente un superbo Thomas C. Reilly, attore feticcio di Paul T. Anderson, qui superlativo. La storia è ormai nota, ossia lo scannarsi a vicenda di due coppie di genitori di adolescenti rissosi, che si scambiano battute sagaci e fanno a poco a poco uscire allo scoperto le loro vere nature , e non si salva nessuno, rinchiusi per un'ora e mezza in quattro mura, e senza bisogno d'alcun altroeffetto per rendere la visione memorabile. Certo, da Polanski c'era da aspettarselo, vista la sua notevole capacità d'osservazione dei più piccoli e spesso oscuri dettagli della vita quotidiana e delle passioni distruttive dell'uomo, ma è stato comunque una piacevole sorpresa.

Ha dovuto lasciare spazio a quello che da molti è stato considerato sin dall'inizio il prediletto della giuria, ossia Faust di Alexander Sokurov. Con niente di meno che Goethe come soggettista , trattandosi di un'interpretazione della sua celebre opera , non poteva che trattarsi di un turbinìo di riflessioni filosofiche del protagonista in crisi esistenziale, che sventrando cadaveri nella sua ricerca non solo scientifica di una risposta alle sue ancora innumerevoli domande, vagabonda per la sua città accompagnato da un subdolo lucifero sotto mentite spoglie , sperimentando emozioni e tuffandosi disperatamente nella vita, accompagnato da una splendida fotografia nei toni del blu-grigio e di varie tonalità di marrone bruciato, ma che il sole illuminava improvvisamente nel volto angelico della donna amata dal protagonista. Con quasi totale assenza di colonna sonora e due attori incredibilmente carismatici e perfettamente in parte, Johannes Zeiler nella parte del dottor Faust e Anton Adasinsky in quella del suo diabolico accompagnatore, ha reso magistralmente la sua metafora sulla corruzione del potere con immagini di forte suggestione visiva.






Una menzione merita l'ultima opera da regista della star Al Pacino, Wilde Salome, presentata fuori concorso e nella quale Pacino interprete – regista, in un film sul film, si mette coraggiosamente in gioco e offre sé stesso generosamente allo spettatore. Con l'aiuto di una promettente Jessica Chastain nella parte della protagonista, riesce a coinvolgere lo spettatore in più di due ore di visione, e narra molti episodi della travagliata esistenza dello scrittore Oscar Wilde, ancora oggi attualissimo nelle sue lotte contro la censura dell'epoca e anch'egli preda di passioni oscure e dall'esito tragico, come il Faust di Goethe , o dettate da amori contrastati e impossibili, come in un'altra opera interessante del Festival, il tanto atteso Dangerous Method di David Cronenberg. Per il regista, non sarebbe stato apprezzato dai suoi precedenti estimatori, ritenendolo la sua prima incursione nella storia vera, ma a mio parere vi si potevano ritrovare molti richiami al suo stile, dalla fotografia luminosa del solito Peter Suschitzky , a prove attoriali di inquietante realismo (Viggo Mortensen, Keira Knightley e il Michael Fassbender vincitore della Coppa Volpi quale interprete maschile in un altro film della mostra, Shame di Steve McQueen, sulla storia di un Newyorkese preda della propria ossessione per il sesso, ma sul quale purtroppo non sono in grado di dare pareri, avendone mancato la visione, ahimè!) al gusto macabro delle alterazioni del corpo, viste qui più che altro come trasformazioni di corpi e anime malate che a poco a poco si trasformano, o nella guarigione o nella perdizione definitiva.

Tra i numerosi documentari presenti nel programma, sarà spero distribuito nelle sale dalla
Fandango , Black Block sulla sorte dei ragazzi rinchiusi nella scuola Diaz durante il g8 di Genova, con interviste ad alcuni protagonisti tedeschi, inglesi e spagnoli, che a dieci anni dagli avvenimenti li ricordano oggi nei dettagli più dolorosi e col coraggioso impegno di rendere le loro esperienze un'arma di aiuto per chi debba uscire da traumi di tal genere.
Infine, il curioso lavoro della regista israeliana Yolande Zauberman, che intervista per le strade di Tel Aviv giovani e meno giovani, ebrei arabi e musulmani, chiedendo loro se farebbero mai l'amore con esponenti dell'opposta fazione, con risultati sorprendenti.
Meritato il premio agli attori emergenti del film Himizu di Sion Sono, tratto da una celebre manga di Furuya Minoru, che mostrando l'odissea privata di un giovane col sogno di aprire un suo noleggio di barche, descrive la vita dopo la tragedia del terremoto in Giappone, la difficoltà di inseguire un proprio sogno dovendo fare i conti con la corruzione aleggiante non solo nella società, ma addirittura nel limite del proprio nucleo familiare , con un padre ormai inesorabil
mente degenerato e una ragazza della quale all'inizio si rifiuta l'amore, ma pian piano si dimostra l'unico elemento di umanità ancora possibile. Il loro camminare alla fine del film, ripetendo ossessivamente la stessa frase è, a primo impatto

, sgradevole e difficile da digerire, ma forse rappresenta simbolicamente un grido d'aiuto , un rincorrere la vita nonostante tutto e con l'istinto di sopravvivenza che ti fa respirare in mezzo alle macerie, a telegiornali che alterano la realtà, a un paesaggio che nonostante tutta la sua desolazione ha ancora degli spazi di verde.


A conclusione di questa sintesi delle nostre visioni festivaliere, vorrei accennare all'opportunità che ci è stata data di assistere alla proiezione dell'ultima opera di Jafar Panahi, riuscita tramite chiavetta usb ad uscire dalle frontiere e arrivare fino a noi nonostante le proibizioni imposte al regista iraniano. Per definizione del titolo stesso Questo non è un film, o almeno non potrebbe esserlo, sebbene il regista con la scusa di girare all'interno di casa propria, nella quotidianità della sua situazione attuale, riesca ad accennare a ciò che doveva essere il suo ultimo film, raccontandolo all'amico che lo aiuta nell'impresa di girare il filmato, e creando un piccolo set ex -tempore nel suo salotto: ad un certo punto è significativo che improvvisamente se ne esca dicendo : “Ma cosa sto facendo? Se è un film non può essere descritto”.

Con amore, Honey Bunny

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