domenica 30 novembre 2025

Le città di pianura - Recensione




Italia, 2025

Regia: Francesco Sossai

Interpreti: Filippo Scotti, Sergio Romano, Pierpaolo Capovilla, Denis Fasolo, Roberto Citran, Andrea Pennacchi

Genere: Commedia

Durata: 1h40'


Nel momento in cui realizzi che un film della Selezione Ufficiale del Certain Regard all'ultimo festival di Cannes cita nella narrazione la città in cui sei nata e cresciuta (di pianura, davvero), ti immergi completamente nella magia del cinema, che continua a sgomitare per restare vivo in questa epoca in cui le immagini e le parole travolgono e impongono gusti e desideri. Il viaggio visto - come ha scritto  Henry Miller - come un nuovo modo di vedere le cose, non come il raggiungimento di una destinazione - sembra essere il fulcro di questo film , un autentico gioiello, che grazie al passaparola ha ottenuto grande successo e visibilità a livello internazionale. Eppure, anche narrando temi comuni alla più classica commedia all'Italiana, non li rende universali per chi scrive, bensì privati e intimi, avendone ritrovato luoghi e realtà vissute davvero, racconti e immagini dell'infanzia e adolescenza, paesaggi che ancora oggi ne inebriano la vista ad ogni viaggio all'interno dei confini del proprio piccolo mondo. E ciò lo ha reso, a tratti , persino commovente. I volti autenticamente comici dei due interpreti principali, e la perfetta alchimia col terzo protagonista, veneto d'adozione ma oriundo di un mondo da loro distante , e che trascinano (inizialmente di malavoglia, poi legandolo indissolubilmente ) in tutta l'avventura , danno a quest'opera un valore aggiunto che a mio parere le fa meritare un posto d'onore nel cinema contemporaneo. Il regista, veneto del Bellunese, classe 1989, è al suo secondo lungometraggio, e mette tanto cuore nella storia e nella direzione degli attori, allo stesso tempo dimostrando una grande perizia tecnica nelle inquadrature e la fotografia, dalle quali lascia trasparire un amore smisurato per il cinema. La coppia di protagonisti inquadrati perennemente in coppia nelle scene in auto o fuori, mi ha ricordato il duo di Pulp Fiction; nelle scene all'interno della villa del Conte, ho rivisto invece Porcile o altri film in cui Pasolini utilizzava la luminosità e la decadenza di certi ambienti per stimolare riflessioni e accompagnare la lucidità dei dialoghi .



 


 Le scene iniziali in soggettiva dall'abitacolo che seguono le curve a gran velocità trasmettono autentico brivido , e hanno ancora il sapore della ricerca di una destinazione, fino a quando non vengono riproposte verso il finale, quando sappiamo molto di più  dei protagonisti, e sappiamo a cosa è dovuta realmente quella frenesia...del resto, come dice il Conte nel film, al giorno d'oggi ormai ogni infrastruttura si costruisca a scapito della tanto amata terra (non terreno! - Cit.) ha lo scopo di migliorare i trasporti, senza  però aver chiaro dove si voglia davvero andare...Chi ha provato la sensazione di tornare nei luoghi del passato, ormai chiusi e dimenticati, sentendosi triste ma nello stesso tempo lasciandosi cullare dalla nostalgia, viene davvero rappresentato in questa storia, e credo siano in tanti, a cominciare dal regista stesso e tutti noi di quella  generazione. Geniale poi l'idea  di aver lasciato all'architettura di Carlo Scarpa e della sua Tomba Brion , con i contrasti tra la solidità del cemento e la leggerezza dell'acqua e dell'aria, il compito di descrivere quel fragile equilibrio che ci permette di trovare ancora un  sapore dolce dentro l'amarezza di tutto il resto .




Con amore, Honey Bunny 

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